Dare un aiuto concreto a chi è colpito dal morbo di Alzheimer o di Parkinson e ai suoi famigliari. E’ questo l’obiettivo del progetto ‘’Memoria rubata’’ lanciato dalla Fondazione Historie.
«E’ un progetto nato dall’ascolto delle famiglie che erano all’interno del progetto Sollievo Alzheimer – spiega Ettore Cremasco -. Queste famiglie hanno un peso enorme da portare e va condiviso con la comunità. Vogliamo essere loro di supporto con attività innovative, allungando i pomeriggi del progetto Sollievo e inserire situazioni di gravità o con problemi di Parkinson. Non sarà un’assistenza domiciliare ma un supporto alle famiglie a casa con tutte le persone coinvolte».
Il metodo è un lavoro in rete con Ulss 22, Comune e associazioni del territorio come Ti con Zero che insegna i lavori di cucito. C’è anche una convenzione con liceo Medi per l’alternanza scuola lavoro. E’ arrivato il supporto della Fondazione Cariverona che permette la gratuità del servizio alle famiglie.
«Si tratta di percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali condivisi tra più attori che lavorano insieme – sottolinea la dottoressa Ebba Buffone -. E’ un progetto a più livelli. La parte diagnostica è fatta dall’Ulss, poi c’è la confluenza di pazienti con gli assistenti sociali e insieme l’utente viene indirizzato all’Historie dove si svolge il progetto vero e proprio e coinvolge le famiglie che sono assistite si sentono protette e rassicurate. Abbiamo allargato l’interesse ad altre malattie degenerative come i Parkinson che non ha strutture specifiche anche se non è da meno come numero di patologie. Selezioniamo chi non è in fase avanzata, ma alo stadio lieve-medio dove il paziente può essere aiutato con attività di tipo motorio con musico e danzaterapia, manualità nei laboratori di ceramica o in cucina».
L’accesso è attraverso gli assistenti sociali, il centro del disturbo cognitivo dove si diagnostica o la Fondazione Historie. Coinvolge 35 persone.
Le psicologhe Giulia Sandri e Alessandra Lorenzini sottolineano l’ importanza che gli operatori siano formati: «il progetto a domicilio prevede di coinvolgere una serie di famiglie in sei/sette incontri per capre le loro esigenze. L’obiettivo è aiutare i famigliari ad essere più consapevoli della malattia e poter attivare tutte le risorse disponibili sul territorio».
L’educatrice Marina Savio evidenzia che si tratta di un «Servizio ad hoc anche per chi è nella fase avanzata della malattia che attualmente non c’è».
Licia Begnoni parla di quanto sia di aiuto confrontarsi per superare momenti estremamente negativi: «Impari a gestire la malattia in maniera più adeguata. Ci insegnano ad affrontare qualsiasi evenienza».
La volontaria Virginia Dal Fior lo considera un servizio gratificante: «I malati si impegnano e sono anche contenti di quello che fanno».
La conclusione dell’assessore Nicola Terilli: «Questo è un esempio concreto di welfare integrativo tra le varie realtà in campo come Ulss, Servizi sociali e volontariato. C’è lo smarrimento di fronte ai primi segnali di malattia, la solitudine che spesso attanaglia il gruppo famigliare che si chiude in se stesso e la solidarietà che crea rapporti personali che durano nel tempo. Questo progetto non si dimentica dei più gravi ed è un passo in avanti».